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Gay & Bisex

Diritti d'Autore - 3


di adad
19.08.2020    |    4.328    |    5 9.6
"Ha detto… Si parlava che la mia condanna era di essere tuo e io ti rispondevo che forse non potevo chiedere di meglio, ricordi? Hai detto: “vediamo se lo..."
EPILOGO

“Allora, che te n’è sembrato?”, chiese Francesco quando si ritrovarono qualche ora dopo nuovamente per strada sotto il sole canicolare.
Marco rimase assorto per un po’.
“Beh, il posto era magnifico, - disse alla fine – e mi è piaciuto anche l’idea di fare il pescatore.”
“Tutto qui?”
“La storia non era male. Anche se… beh, mi aspettavo un ruolo più importante per me, una maggiore presenza: per la miseria, sono stato poco più di una comparsa!”
“Non è vero: hai avuto un ruolo fondamentale.”
“Se lo dici tu…”
“E per il resto?”
“Intendi noi due? Non so… Beh, quello che non capisco è perché mi ha fatto fare la parte del seduttore… Insomma io non sono gay, non dovevo essere io a cominciare… a… insomma, ci siamo capiti.”
“Beh, tu non sei gay, ma il tuo personaggio lo era e devo dire che te la sei cavata benissimo. Mi hai fatto un pompino da vero professionista.”
“Che c’entro io? – si schermì Marco – Era l’Autore che se l’è immaginato.”
Intanto si erano avviati.
“Dove sei diretto?”, chiese Marco, notando che l’altro continuava a guardarsi attorno.
“Cerco la fermata di un tram, per tornare a casa.”
“Abito qui a due passi, - disse allora Marco – vieni, beviamo qualcosa e poi ti accompagno con la macchina.”
“Grazie, - accettò Francesco – siamo liberi, ormai, possiamo fare quello che ci pare.”
“E l’Autore che fine ha fatto?”
“Oh, quello ha scritto il suo racconto e adesso sarà lì che se lo rilegge e magari ci si farà anche una sega!”
E scoppiarono a ridere entrambi.

“Stavo pensando una cosa.”, disse Marco mentre erano seduti nel salotto a bere una birra.
“Cosa?”
“Non ti sembra che abbia chiuso il racconto un po’ troppo in fretta? Voglio dire… poteva farci incontrare ancora… sviluppare un po’ meglio il nostro rapporto…”
“Secondo me, no. – disse Francesco – io penso che farci incontrare di nuovo sarebbe stato inutile all’economia del racconto, che invece si è chiuso con l’aspettativa di qualcosa di molto più rilevante. Tu, invece: come ti è sembrato scopare con un uomo?”
“Oddio, non è che abbiamo fatto molto.”
“Sì, non abbiamo fatto molto, però mi hai fatto un pompino con l’ingoio, ti ho ficcato la lingua nel buco del culo… A proposito, ti è piaciuto?”
“Bof!”, fece Marco con indifferenza.
“Come, bof? Se mi sei venuto addosso, senza neanche toccarti!”
“Mica io, - ghignò Marco con la guance in fiamme – era il mio personaggio…”
“Toglimi una curiosità, - fece Francesco, mentre si scolava la seconda birra – ma ce l’hai davvero così grosso o è stato l’Autore a farti un ritocchino?”
“Giudica tu.”, fece Marco.
Si alzò e, sbottonatosi i jeans, ne cavò fuori un bigolone molle che appena all’aria si drizzò, diventando spesso come il suo polso e lungo quasi quanto l’avambraccio.
“Alla faccia!...”, fece Francesco, sgranando gli occhi.
“E tutta carne genuina di prima scelta! – fece Marco, andandogli vicino –
Tocca pure, verifica, se vuoi.”
Francesco non se lo fece ripetere due volte: allungò la mano e impugnò quella mazza sudaticcia, che si sentì fremere sotto le dita. Si leccò le labbra asciutte, mentre il desiderio di quell’organo prodigioso tornava a impadronirsi di lui. Lo carezzò, ma non osava andare oltre: non erano più nel racconto e chissà Marco come avrebbe reagito. Ma Marco ricordava bene le sensazioni che la lingua di Francesco gli aveva procurato: si fece scivolare alle caviglie jeans e mutande, sgambettandoci fuori, poi gli si accostò e:
“Dai, - fece con tono suadente – so che non vedevi l’ora.”
Con un gemito di pura voluttà, Francesco si accostò allora quel tizzone rovente alla bocca e cominciò a slinguare il sugo denso e gustoso, che ricopriva il glande snudato. E mentre con un mano impugnava a metà il lungo gambo, muovendolo piano su e giù, con l’altra mano prese a palpargli i grossi coglioni, impastandoli e stirandoli, senza mancare di fargli scivolare ogni tanto la mano addentro nello spacco.
Questo sembrò riportare qualcosa alla mente già infervorata di Marco, che d’un tratto si voltò e, allargandosi il culo con le mani, gli presentò il buco.
“Fammi vedere se mi piace pure adesso.”, ansimò, in preda alla più sfrenata lussuria.
Per Francesco era un invito a nozze: lo afferrò per i fianchi, tirandoselo vicino, e gli immerse mezza lingua nell’ano, facendolo squittire di goduria.
“Ti piace ancora?”, gli chiese dopo un po’.
“Cazzo, se mi piace! – ansimò l’altro – Se è questo che fate voi froci, ci metto la firma e divento frocio pure io!”
Francesco stava per dargli una rispostaccia, ma si trattenne: non valeva la pena mettere a rischio un così lauto pasto solo per un puntiglio: si rimboccò le maniche e riprese alacremente a divorargli il morbido cratere.
“Ah! Mi fai morire! – gemette Marco – sto colando come una fontana!”, e voltatosi di scatto, gli andò quasi a sbattere col cazzo sulla guancia.
Francesco lo afferrò volo, tutto imbrattato di sugo com’era, e cominciò a leccarlo a tutta lingua, prima il fusto e per ultimo il glande spugnoso.
“Basta… basta… - ansimò Marco – basta… mi fai venire…” e retrocesse, crollando a sedere sulla poltrona di fronte, dove rimase, stralunato in volto, con l’uccello in pugno e i coglioni che gli pendevano fra le cosce divaricate.
Francesco si leccò le labbra, cercando di reprimere alla meglio il suo rammarico. Ma per lui non era finita: quel cazzo gli faceva troppa gola.
“Hai notato?...”, cominciò.
“Cosa?”
“Che l’Autore ha tralasciato di farmi inculare. Nei suoi racconti non mancano mai un paio di penetrazioni, sempre puntualmente descritte… In questo niente, neppure una. Secondo i suoi schemi, avresti dovuto farlo almeno una volta… Infatti, sulla spiaggia mi hai detto… cioè il tuo personaggio mi ha detto una cosa. Ha detto… Si parlava che la mia condanna era di essere tuo e io ti rispondevo che forse non potevo chiedere di meglio, ricordi? Hai detto: “vediamo se lo dirai ancora, quando sarai impalato su questo”. Il che faceva supporre che prima o poi lo avremmo fatto, e invece… E’ strano, non è da lui.”
“Forse non voleva che ti facessi male con questo…”, ghignò Marco.
“No, non credo… forse era in programma per i giorni successivi, ma tu non sei più venuto.”
Marco alzò le spalle:
“Sai che non ho potuto…”
“Già, avrà avuto le sue ragioni, per dare questa svolta al racconto… Peccato…”
“Dovresti essere contento, invece: ti sei risparmiato un bello strazio! Ti rendi conto di come ti avrei ridotto? Ti avrei fatto il culo a brandelli!”
“Ma sì… a brandelli. Che sciocchezza!”
“Non mi dirai che ti sarebbe piaciuto davvero prendere questo affare nel culo?”
Francesco fece spallucce:
“Diciamo che mi sarebbe piaciuto mettermi alla prova…”, disse con aria indifferente.
“Se è per questo, puoi sempre farlo… - insinuò Marco, con un lampo negli occhi – Sono a tua disposizione.”
“Che senso avrebbe? – fece Francesco – non siamo più nel racconto.”
“Ma che ti frega del racconto? Volevi metterti alla prova, giusto? Eccomi qua.”
“Ma tu non eri quello che non sei culattone?”
“Che c’entra? Sei tu che lo prendi nel culo, mica io!”
“Tu nel culo prendi solo la lingua…”, lo prese in giro Francesco.
Marco scoppiò a ridere.
“Dai, dai, spogliati, ché mi hai fatto venir voglia di schiantartelo nel culo… voglio farti vedere le stelle!”, disse, ormai in preda ad una fregola incontenibile.
Francesco non se lo fece dire due volte: si sfilò via pantaloncini e mutande e subito Marco lo prese e lo forzò a chinarsi sopra il divano, puntandogli il cazzo sul buco del culo.
“Calma! – protestò Francesco – Non avrai mica intenzione di infilarmi quel mostro
così, di punto in bianco? Non ho una figa in mezzo alle gambe, io!”
“Scusa, scusa… è che c’ho una voglia… Cosa devo fare?”, chiese Marco, pestando i piedi.
“Ok, hai del lubrificante?”
Marco corse in bagno e tornò con un flacone di crema fluida.
“Va bene anche quella. – disse Francesco – Adesso ungiti le dita.”
E mentre Marco si cospargeva la mano intera di abbondante crema, Francesco si posizionò a quattro zampe col culo rivolto verso di lui.
“E adesso?”
“Adesso ficcami un dito…”
Il dito scivolò dentro agevolmente.
“Adesso muovilo avanti e indietro… piano, devi aprirmi con calma. Adesso mettine due… così… fino in fondo e poi muovile piano.”
“Che strano ficcarti le dita nel culo…”, disse Marco, mentre eseguiva le indicazioni di Francesco.
“Ti fa schifo?”
“No, no… anzi, mi viene voglia di ficcarci tutta la mano.”
“Scordatelo!”
Andarono avanti così, finché quattro dita e mezzo palmo riuscirono ad entrare e a scorrere agevolmente, con crescente meraviglia di Marco, strabiliato dalla capacità di dilatazione di quel buco.
“Prova adesso… - disse allora Francesco con voce strozzata – penso di essere pronto.”, e strinse i denti nell’attesa del dolore che lo aspettava.
Marco non aspettava altro: gli poggiò il glande sull’orifizio dilatato e, dopo una breve esitazione, quasi un ripensamento, spinse leggermente, facendo sgusciare oltre la soglia l’intero glande.
Francesco grugnì all’improvviso stiramento.
“Dimmelo se ti faccio male. - gli raccomandò l’altro - Vuoi che esco?”
“No…”
E Marco continuò a spingere, gemendo entrambi mentre il fallo proseguiva la sua inesorabile avanzata. Francesco si sentiva letteralmente lacerare per via di quella dilatazione fuori misura, gemeva, ma si guardava bene dal chiedergli di smettere: era una prova che si era imposto di affrontare. Ma Marco non era da meno: non era abituato a penetrare in un buco così stretto, aveva l’impressione che la pelle del cazzo gli si dovesse strappare via da un momento all’altro, ma era determinato ad arrivare fino in fondo, specie quando le fitte di dolore diventarono d’un tratto fitte di un piacere così lancinante da farlo quasi sborrare. Entrambi grugnivano e sbuffavano, mentre quel cazzo monumentale proseguiva la sua avanzata.
E finalmente arrivò in fondo, finalmente i peli pubici di Marco strusciarono contro lo sfintere martoriato di Francesco.
“Wow! – esultò Marco – Te l’ho ficcato tutto nel culo!”
“Ce l’ho fatta… - gli fece eco debolmente l’altro – Sono riuscito a prenderlo tutto!”
Marco si chinò, lo avvolse con le braccia e lo strinse a sé.
“Ti fa male?”, gli chiese, mordicchiandogli la nuca.
“Non preoccuparti, adesso passa… Non muoverti, però… non muoverti ancora…”
Era un’esperienza nuova per tutti e due: per Marco, perché non aveva mai scopato il culo di un uomo, il che lo elettrizzava sia a livello fisico per il piacere particolare che stava provando, sia a livello psicologico per la sensazione di potere che gliene derivava; per Francesco, perché era la prima volta che riusciva a prendere un organo così grande e la cosa gli dava un senso di gratificazione, nonostante il dolore di quei primi momenti.
Poi, Francesco sentì scemare la pressione dello sfintere attorno al proprio cazzo, allora capì che Marco era pronto e cominciò lentamente a muoversi: lentamente, un centimetro alla volta, valutando i gemiti che sentiva provenire da Marco, e accelerando l’andatura via via che li sentiva trasformarsi in sospiri di piacere, finché si ritrovò a pompargli nel culo con tutta la sua gagliardia.
“Che bello, Fra, cazzo, che bello! – ansimava, mentre lo sfilava quasi tutto e poi glielo rifiondava dentro – Mi piace il culo… cazzo se mi piace! Te lo stai godendo il mio cazzo, vero? Sei proprio una puttana rotta in culo!”
Quelle parole crude lungi dal ferire la sensibilità di Francesco, lo portavano a livelli ancora più alti di libidine: con gemiti e sospiri sempre più accentuati, prese ad assecondare il ritmo di pompa dell’amico, andandogli incontro, nel momento del ritorno e strizzando lo sfintere, non appena riuscì a recuperarne il controllo. Il che non sfuggì a Marco, che si infiammò ancora di più.
“Sì, cazzo!... così, Fra, così … ti voglio puttana sotto di me… fai la puttana… fai la puttana per me!”
E Francesco faceva la puttana, dimenandosi sotto di lui, sguaiolando senza pudore per la goduria sconvolgente che quell’enorme cazzo gli stava procurando. Ogni tanto, si allungava la mano sotto per tastargli le palle, quando gli sbattevano contro il culo: gliele prendeva, gliele strizzava con forza ed erano nuovi lampi di straziante piacere.
Infine, i tempi furono maturi, l’orgasmo cominciò a montare:
“Oh, cazzo, sto per venire… Fra, sto per venire… voglio sborrarti dentro… voglio sborrarti nel culo… voglio sborrare in questo culo stretto da puttana!!!”
A quelle parole, Francesco si afferrò l’uccello e cominciò a menarselo furiosamente: gli piaceva godere con un cazzo piantato nel culo e gli bastarono due menate per venire, tale era l’eccitazione accumulata in quelle ore. La ritmica stretta del suo sfintere attorno al cazzo di Marco, fu il colpo di grazia anche per quest’ultimo, che cominciò a torcersi come in preda agli spasmi, mentre la sua sborra rompeva gli argini ed eiaculava con una raffica di poderose schizzate.

“Sapevo che valeva la pena tenere d’occhio quel ragazzo, - pensò l’Autore, osservando Marco vibrare e torcersi in preda all’orgasmo, mentre sborrava nel buco stretto di Francesco – un vero animale da sesso. Bene, bene, è stata un’ottima scelta.”

Marco e Francesco erano riversi sul divano, ancora ansimanti. Il cazzo di Marco, tornato moscio, gli penzolava fra le cosce leggermente aperte, lasciando colare ancora un lungo filo lattiginoso. Si guardarono in faccia, senza dire niente e in realtà non c’era niente da dire, avevano entrambi ottenuto quello che desideravano.
“Come va?”, chiese Marco dopo un po’.
“Bene… - fece Francesco – Mi sento il culo un po’ indolenzito…”
“Fammi vedere come ti ho ridotto.”
Lo rovesciò di lato e gli sollevò una gamba, sbirciandogli nello spacco del culo.
“Madonna, Fra, te l’ho sfondato! – esclamò elettrizzato – T’ho aperto una voragine!”, e d’impulso ci ficcò dentro mezza mano.
Francesco sguaiolò a quella nuova intrusione e sperò che quella mano andasse ancora più dentro, sentendosi una vera puttana.
Marco se ne accorse e indugiò a ravanargli dentro, ritirando poi la mano, completamente bagnata di sborra e di umori. Aveva gli occhi lucidi di rinnovata eccitazione.
“Senti, Fra, - gli disse – è notte ormai: che ne dici di una doccia e poi due spaghetti aglio e oglio? Ti riporto a casa io, quando vuoi.”

“Forse è meglio che li lasci da soli. – disse allora l’Autore - Per me, ho visto abbastanza e anche loro avranno diritto a un po’ di riservatezza.”, e si alzò dalla sua scrivania, spegnendo il computer.

FINE
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